Quasi sempre quando si parla di Africa nella migliore delle ipotesi si immagina un Continente “da sempre” povero, anzi poverissimo, con scarse tracce di sviluppo sia culturale che economico etc etc....
E quando si “scopre” che l’Africa è stata veramente la “culla dell’Umanità”, che l’Africa ha avuto secoli di grande storia politica, economica culturale etc etc....beh - almeno a me è quasi sempre capitato così - ci si chiede con una punta di incredulità ..... “ma allora perchè ancora oggi dopo 50 anni di indipendenza è in una situazione di così grande “sottosviluppo”.....??”
L’Africa dopo la tratta:
180 milioni di persone deportate ed un sistema sociale, economico e culturale distrutto.
Ma un altro "stereotipo" è anche di credere che l'Africa abbia "accettato" la schiavitù prima e la occupazione coloniale dopo. Questo non è assolutamente vero e la storia d'Africa è piena di "Eroi ed Eroine" ma anche di gente comune ed intere popolazioni che sono state massacrate per essersi ribellate all'invasore.
Vogliamo fare qui un omaggio, in particolare alle Donne d'Africa anche per evidenziare come - già nei secoli prima della tratta - le Donne in Africa fossero al centro dell'Universo spirituale africano ed anche per questo la storia del Continente è ricca di figure femminili, di Regine eroine etc.....
L’elenco di donne “protagoniste” della storia africana è lunghissimo e ne citiamo qui solo alcune soffermandoci poi solo su alcune relativamente al periodo delle lotte contro lo schiavismo ed il colonialismo.
Ricordiamo Candace la Regina che fermò Alessandro Magno, la Regina di Saba, Kahina la Regina del Sudan che respinse le prime invasioni degli Arabi, Thin Hinan (Antinea) “fondò le basi del Regno Tuareg”, Hatshepsut: una delle Regine dell’antico Egitto che fondò peraltro le basi del nuovo pensiero basato su “Horus, dio della conoscenza”; Anne Zingha, regina d’Angola; Poku Tassin Hangbe, regina del Dahomey; Yennenga fondatrice del Regno dei Mossi, uno dei Popoli tra i più imprtanti dell’odierno Burkina Faso; Amina, regina di Zaria (Nigeria) dal 1588 al 1589; Nandi regina Zulu dal 1778 al 1826; Nehanda regina dello Zimbawe; Nzingha regina amazone di Matamba (Angola) dal 1582 al 1663
Tra le Eroine dell'
Africa schiavizzata - poichè non possiamo occupare troppo spazio - scegliamo di parlare di
Harriet Tubman è una delle figure centrali della storia degli Stati Uniti prima della guerra civile; più precisamente, di quella porzione di storia che va dal 1820 al 1850 circa, un periodo pieno di fermenti e lotte sociali. L’età di Jackson, di grande partecipazione popolare alla politica (si stava stabilizzando il mezzo di raccolta del consenso per eccellenza che è la stampa di massa), della formazione di quei due partiti, Repubblicano e Democratico, che ancora oggi dominano la scena americana.
Aramitha Ross (questo il suo nome originale) nacque da genitori schiavi, Harriet “Rit” Green e Ben Ross. Ognuno dei due lavorava presso un ramo della famiglia Thompson, la quale possedeva una grande piantagione nella contea di Dorchester, nel Maryland.
Visto che non era “usuale” registrare l’anno di nascita degli schiavi, è difficile decidere una data esatta, tanto più che nemmeno Harriet stessa la conosce: gli storici la pongono, in ogni caso, tra il 1820 e il 1825.
La nonna era arrivata negli Stati Uniti su una nave per il trasporto degli schiavi dall’Africa; secondo Harriet, le sue origini erano nell’odierno Ghana, anche se nulla lo può provare. Rit e Ben ebbero ben nove figli. I padroni, nella compravendita degli schiavi, non si curavano certo di tenere unite le famiglie: fu perciò molto difficile per Rit lottare contro la separazione dei suoi membri, infatti tre figlie le furono tolte per sempre.
All’età di cinque anni, Harriet doveva prendersi cura del neonato di una certa “Miss Susan”, per la quale lavorava. Se il piccolo si svegliava e piangeva la notte, Harriet veniva frustata. Portò per sempre le cicatrici di quel sopruso, anche se nulla la ferì, fisicamente e mentalmente, più di un episodio successole durante l’adolescenza: andata in un negozio per conto dei padroni, lì incontrò uno schiavo di proprietà di un’altra famiglia, scappato senza permesso dal lavoro nei campi; il guardiano dell’uomo chiese a Harriet di aiutarlo nel costringerlo a tornare al lavoro, ma Harriet si rifiutò. Mentre lo schiavo scappava, il guardiano infuriato lanciò un peso contro di lui ma lo manco e colpì invece la ragazza alla testa. Perse i sensi, e quando si risvegliò tornò dai suoi padroni senza ricevere cure per due giorni, nonostante continuasse a sanguinare alla testa. Vedendola così debole e perciò inutile, venne rimandata dai precedenti padroni, i Brodess, i quali tentarono a loro volta di rivenderla, mentre continuava periodicamente a perdere i sensi, nonostante si sia pensato, più tardi, che soffrisse di epilessia lobare temporale.
Nel 1844 si sposa con John Tubman, un ex schiavo nero liberato (i matrimoni così “misti” erano comuni nel Maryland, dove la maggior parte delle famiglie possedeva sia schiavi sia liberi lavoratori stipendiati neri). Fu ora che Aramitha cambiò il suo nome in Harriet, anche se non è chiaro il motivo. Nel 1849 si ammalò ulteriormente; il vecchio padrone Edward Brodess tentò così di venderla, ma morì prima di riuscirci.
La vedova, così, si assunse il compito di “tenerla”…ma Harriet aveva capito che c’era solo una cosa che voleva per sé: la libertà.
Nel settembre del 1849 Harriet scappa insieme ai suoi due fratelli Ben e Henry, ma questi ebbero paura e alla fine tornarono indietro.
La ragazza fuggì così una seconda volta da sola, utilizzando un sotterfugio chiamato “Underground railroad” (“ferrovia sotterranea”) – un sistema formato da neri liberi, abolizionisti bianchi e attivisti cristiani (contrari alla schiavitù) che rischiavano la pelle ospitando nelle loro case fuggiaschi verso il Nord abolizionista o verso il Canada.
Harriet era costretta a viaggiare soltanto di notte, per sfuggire agli “acchiappa schiavi”: mestiere, quello, molto remunerativo, se si considera che il premio per aver riportato uno schiavo fuggiasco era di solito intorno ai 100 dollari, e una piccola fattoria ne costava, al tempo, 400. I membri della “rete di salvataggio” usavano diversi sotterfugi per non farsi scoprire, tra cui ordinare alla ragazza di pulire il giardino per far sembrare che lei fosse alle loro dipendenze. Siccome quello era un percorso utilizzato da molti altri fuggiaschi come lei, Harriet si rifiutò per molto tempo di parlarne nel dettaglio; si sa comunque che raggiunse la Pennsylvania, dove si impegnò in diversi lavori per mettere assieme qualche soldo per salvare anche la sua famiglia e i suoi amici.
Infatti, decise volontariamente di ritornare nella terra della sua schiavitù per portare in salvo le persone a lei care e chiunque avesse il coraggio di volere la propria libertà. In uno di questi viaggi andò a cercare il marito, che intanto si era risposato; ignorando la sua rabbia, prese con sé alcuni schiavi e li riportò a Filadelfia. In questo periodo conobbe uno dei grandi attivisti per la liberazione del neri dell’epoca, Frederick Douglass, il quale aveva fondato il giornale abolizionista “The north star” di grande successo presso le comunità di neri liberi; i due conservarono un mutuo profondo rispetto; Douglass ammirava le imprese della donna, imprese non pubblicizzate, imprese conosciute a pochissimi e riconosciute da nessuno. Per undici anni, infatti, Tubman tornò diciannove volte in Maryland, da cui salvò circa settanta schiavi. Arrivava di notte, di solito in inverno (quando le notti sono più lunghe e le persone tendono a stare in casa), e faceva scappare le persone di sabato notte, perché gli avvisi di cattura sarebbero stati stampati nei giornali soltanto il lunedì successivo. Ciascuno di questi viaggi era pericolosissimo, Tubman infatti girava sempre con una revolver nascosta: probabilmente per sparare, nel caso, agli “acchiappa schiavi”, ma lei racconta che la usò anche per intimare i compagni di viaggio di continuare a camminare, perché c’era pericolo che se questi fossero tornati indietro, avrebbero confessato tutto ai padroni; Tubman andò fiera del fatto che “non aveva mai lasciato nessuno indietro”, tanto che questa frase fu anche posta sulla suo tomba nel Fort Hill Cemetery a Auburn.
Nel 1858 le fu presentato John Brown, un attivista che sosteneva l’uso della violenza per eliminare la schiavitù negli Stati Uniti; altri abolizionisti del tempo, come Garrison (forse il più celebre, fondatore di un quotidiano e aspro critico della Costituzione) e il già citato Douglass, non erano d’accordo con i suoi metodi violenti; Brown voleva, inoltre, creare uno stato per gli schiavi liberati. Sì preparò, così, all’azione militare. Contò proprio su Tubman, che era un’esperta dell’area Pennsylvania-Maryland-Delaware, per trovare sostenitori e risorse. Organizzò un attacco ad Harpers Ferry, in West Virginia, che fallì. Brown fu condannato e impiccato in dicembre. Le sue azioni furono elogiate per il loro coraggio anche da Tubman stessa, che però non era presente il giorno dell’attacco. Nel 1861, quando scoppiò la guerra civile, Tubman vide che la vittoria dell’Unione avrebbe potuto essere un grande passo avanti per la conquista della libertà.
Contrariamente a quanto si crede, la guerra civile non fu combattuta per l’abolizione della schiavitù: Lincoln stesso, diventato presidente nel 1860, non era apertamente favorevole all’abolizione – voleva soltanto che gli Stati della federazione rimanessero uniti, e se un’azione militare contro il South Carolina (che aveva deliberato la secessione dagli USA) era ciò che serviva, questa lui fece. La schiavitù fu il terreno di scontro, ma sottesa a questo c’erano due modi di vita e due strutture economico-sociali completamente diverse, quello del Sud legato alle grandi piantagioni e agli schiavi, quello del Nord legato alle élite commerciali e finanziarie delle grandi città. Ma Tubman aveva visto giusto: dopo due anni di combattimenti, nel 1863 gli schiavi vennero dichiarati liberi; il provvedimento sarebbe stato reso universale e permanente, tuttavia, soltanto con un emendamento costituzionale. Harriet fu attiva durante la guerra: non soltanto come infermiera, ma addirittura come guida di un’operazione militare (durante la quale le sue conoscenze su come muoversi senza farsi vedere furono molto utili). Le fu difficile, tuttavia, conclusa la guerra, dimostrare il suo coinvolgimento e così ottenere una piccola pensione dallo stato.Continuò a vivere ad Auburn, dove aveva acquistato una piccola proprietà, in grande povertà. Si sposò con Nelson Davis, un veterano della guerra, e adottarono una bambina di nome Gertie; passeranno insieme i prossimi vent’anni della loro vita.Per cercare di guadagnare qualcosa, fece pubblicare due volumi sulla sua vita, meno fedeli dei successivi che avrebbero visto la luce negli anni a venire.
Ottenuta la libertà dalla schiavitù (almeno sulla carta, visto che nel Sud furono approvati provvedimenti che istituivano mezzi di trasporto, scuole, divertimenti separati per le due razze), Harriet trovò un’altra battaglia da combattere: quella delle suffragette. Viaggiò in varie importanti città per parlare alla gente in favore della concessione del voto alle donne, citando le sue fatiche per scappare dal Maryland e quelle sul campo di battaglia come prova del fatto che le donne sono eguali agli uomini e devono quindi godere degli stessi diritti.Nei primi anni del nuovo secolo, Harriet fu molto impegnata nella Chiesa Africana Metodista Episcopale di Zion a Auburn, a cui donò un pezzo di terra perché ci venisse costruita una casa d’accoglienza per anziani poveri. La “Casa degli anziani di Harriet Tubman” fu inaugurata il 23 giugno del 1908. Dopo aver subito una pericolosa operazione al cervello (senza anestesia), lei stessa entrò nella casa a suo nome, dove si spense a causa di una polmonite il 10 Marzo 1913. Quasi cent’anni di lotte per la sopravvivenza, per la giustizia, per la libertà. Oggi la si ricorda grazie ad alcune biografie (purtroppo, soltanto in inglese), ad una “nave della libertà” americana a lei dedicata (la “SS Harriet Tubman”, prima ad essere dedicata ad una donna afroamericana), ad una serie di francobolli stampati nel 1978 per onorare gli afroamericani.
Notizie prese dal web e dal libro "Schiave ribelli" di Jacopo Fo
LE DONNE CONTRO L’OCCUPAZIONE COLONIALE